Teatro in classe

Morire di vita. “L’Attesa” di Cescon invade il Teatro Bonci

 

In un’afosa e cupa notte di maggio, un bosco popolato da cicale e uccellini ci conduce all’interno di una camera da letto matrimoniale a soqquadro, in cui l'atmosfera sembra sospesa. Qui si consumerà la storia di Cornelia e Rosa, brillantemente interpretate da Anna Foglietta e Paola Minaccioni, per la regia di Michela Cescon su testo di Remo Binosi, rappresentata al Teatro Bonci di Cesena mercoledì sera.

Cinque mesi, due gravidanze portate avanti da due donne che si rivelano essere l’una lo specchio dell’altra e l’una la nemica dell’altra. Il loro conflitto, tanto psicologico quanto fisico, si evolve all’interno di questa camera delimitata da un tappeto a forma di rombo che circoscrive il perimetro da cui le protagoniste non escono mai: un ring in cui si consuma la loro lotta verbale e fisica, una prigione che le rinchiude nei loro turbamenti e conflitti interiori.

Le luci di Pasquale Mari ci fanno immergere nel cambiamento di temperatura emotiva dell’atmosfera, dalle afose giornate estive fino alle fredde notti temporalesche, illuminate da una luce lattea. Le pareti simboleggiano la condizione di prigionia delle due donne e con il loro movimento scandiscono la percezione della libertà: sono a mezz’aria quando le protagoniste si confrontano, mentre sono a terra nel momento in cui la contessina scrive sul proprio diario, liberandosi dalle sue sofferenze e rinchiudendosi nella sua intimità.

 

Tra Rosa e Cornelia si instaura un rapporto di amicizia, dove si annullano i pregiudizi legati alla condizione sociale, fino ad identificarsi l’una con l’altra.  Il tema del doppio caratterizza il confronto: da una parte la serva, che si racconta in un dialetto veneziano dagli echi goldoniani attraverso aneddoti che mostrano una maggiore esperienza di vita e una predisposizione al cambiamento; dall’altra la contessina, imprigionata nella sua posizione sociale, si rivela in maniera drammatica tramite le sue paure che lasciano intravedere l’abisso della sua interiorità.

 

Siamo così diversi? L’essenza della vita è l’attesa della morte? A cosa viene ridotta la donna? Queste sono alcune domande che ci accompagnano dopo la chiusura del sipario.

Quello che ci ha colpito di più è stato percepire come il contrasto tra i due ceti sociali sia svanito gradualmente, avvicinando drammaticamente la situazione delle due donne inizialmente molto diversa. Le loro possibilità e il desiderio di libertà si confondono fino a fondersi: l’una rappresenta il desiderio dell’altra.

 “Si muore perché si è vivi” è la risposta alla domanda esistenziale de L’Attesa. La prigionia all’interno della vita è mostrata attraverso il dualismo: per Rosa vale la pena vivere attendendo un amore, Cornelia invece si rassegna alla morte con la paura di vivere. La vita è effimera come le cose a lei legate e, considerato che prima o poi finisce, non ha senso vivere.

Il dolore costante e la mancanza di sostegno in cui si sono ritrovate è il ritratto delle donne di oggi a distanza di secoli. Gli abusi e le violenze domestiche persistono e peggiorano a causa dell’isolamento imposto negli ultimi anni.

Pertanto, chi è veramente libero? 

 

Vita e morte ne “L’attesa”. Uno spettacolo al femminile ci interroga sul senso della vita.

 

Due donne mettono in scena il punto di vista di un uomo in un’opera intensa con tematiche strettamente legate all’attuale condizione femminile. Nello spettacolo il tema della maternità viene posto in primo piano, come le sofferenze ad essa legate, e trattato in modo contrastante: da una parte il desiderio di una nuova vita, dall’altra l’inevitabilità della morte. L’antitesi è evidenziata da una complementarietà predominante all’interno dello spettacolo, resa dai colori e dai costumi:  quello della contessa Cornelia è rosso e allacciato sul davanti, mentre quello della serva Rosa è blu e allacciato sulla schiena.

L’attesa, nella sua complessità, rivela le debolezze dell’aristocratica, unendola indissolubilmente a colei che inizialmente era soltanto una serva mossa dal desiderio di arricchirsi e pronta anche all’omicidio della creatura partorita nel totale isolamento.

Se oggi, la maternità per lo più ha una connotazione positiva legata a un atto d’amore profondo, riconosciuto nella nascita di una nuova vita, nello spettacolo è trattata in maniera controversa. Rosa e Cornelia sono imprigionate in una condizione che non vogliono, per differenti motivi, che porta una delle due a contemplare l’opzione dell’aborto. Un tema estremamente attuale e sofferto, in una società in cui giovani ragazze, come la contessina dell’opera, che non si sentono pronte ad accudire una nuova vita e ad assumersi le responsabilità che ne derivano, ricorrono a questa pratica perdendo definitivamente la possibilità di dare amore ad un figlio. 

 

Classi 4C e 4D, Liceo Linguistico “I. Alpi”, Cesena


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